Ecco come funziona la pratica deliberata

Da moltissime parti, si legge e si sente parlare di persone straordinariamente capaci e con talenti fuori dal normale che riescono a fare cose pazzesche e, senza pensarci, diciamo che quelle persone hanno “talento”.

Questa è una narrazione che sicuramente fa presa sul grande pubblico, e sicuramente fa più presa della storia reale che c’è dietro questi personaggi, ossia il lavoro incredibile che li ha portati a quei livelli straordinari di performance.

Tutto questo lavoro che sta dietro le grandi performance nient’altro è che la pratica. Spesso si sente dire “la pratica rende perfetti”, ma, ancora meglio, sarebbe dire “la pratica perfetta rende perfetti”. Questo significa che non basta mettersi lì e praticare, appunto, ma bisogna far sì che questa pratica diventi “perfetta” ed è qui che la pratica deliberata entra in gioco.

Le famigerate 10.000 ore di lavoro

È un po’ come il famoso discorso delle 10.000 ore di lavoro, secondo il quale bastano 10.000 ore per imparare a fare, più o meno, qualunque cosa. Adesso, da più parti, questa teoria che fino a poco tempo fa era molto popolare, sta iniziando a ricevere alcune critiche, soprattutto per il fatto che non è tanto la questione delle 10.000 ore in sé, ma più che altro come tutte queste ore vengono utilizzate.

Ma quindi, abbiamo già smontato due capisaldi dell’argomento, ossia il talento e la ripetizione dicendo appunto che né uno né l’altra sono alla radice di performance straordinarie. Abbiamo, però, anche introdotto un nuovo ingrediente che è appunto la pratica deliberata.

Che cos’è la pratica deliberata… in pratica?

La pratica deliberata altro non è che la pratica svolta con la consapevolezza di:

– ciò che vogliamo migliorare

– che cosa dobbiamo fare per migliorarci.

in pratica, ciò che distingue la pratica deliberata dalla pratica “normale” è il fatto di praticare solo e solamente le cose che dobbiamo migliorare, dedicando particolare attenzione ai dettagli e lasciando da parte ciò che in realtà sappiamo già fare bene.

Stato di performance e stato di pratica

Per fare questo, dobbiamo anzitutto prendere coscienza del fatto che esistono due stati, ossia lo stato di apprendimento e lo stato di performance.

Il primo, che è appunto specifico per la pratica, ci serve per migliorare i lati della nostra esecuzione che sappiamo devono essere migliorati. Questo è uno stato sicuro, in cui non ci sono giudizi né negativi né positivi e in cui ci possiamo permettere di sbagliare; anzi, lo sbaglio in questa fase è incoraggiato, perché è proprio tramite gli errori che possiamo perfezionarci e migliorare.

Il secondo stato, invece, è lo stato di performance, ossia quello stato in cui mostriamo al mondo quello che sappiamo fare e, in breve, quello che abbiamo imparato a fare durante le nostre sessioni lunghissime e noiosissimi di pratica.

Oltretutto, questo non vale solo per quegli ambiti in cui la questione del talento si sente nominare più spesso, ad esempio la musica, lo sport, o chissà che altro, ma possiamo applicarlo ai campi più disparati, dal lavoro, allo studio, dalla matematica, all’arte, dalla scrittura, allo storytelling, dalle arti manuali a quelle, come vedremo dopo, oratorie.

La questione è che molte volte trascorriamo molto più tempo nello stato di performance rispetto allo stato di pratica, questo soprattutto perché continuare a esercitarci su cose che già sappiamo fare bene ci gratifica ed è più divertente rispetto a investire tempo, risorse, ed energie nella fase di pratica e allenamento.

Quindi, alla base della pratica deliberata ci sono la osservazione e la motivazione: osservazione per trovare ciò che non va e motivazione per migliorare dove dobbiamo migliorare.

Un esempio dal passato

Prendiamo l’esempio di Demostene: Demostene fu un grande oratore del suo tempo, ma la cosa interessante è che diventò tale non perché fosse naturalmente portato e predisposto, ma perché dedicò tempo, attenzione, ed energie, al miglioramento delle sue “performance” oratorie.

Demostene, quindi, diventò famoso anche perché trascorreva molto tempo a declamare i suoi discorsi sulle scogliere, dove il mare era più fragoroso e rumoroso, con lo scopo di aumentare la portata della sua voce. Allo stesso tempo, si allenava a recitare i suoi discorsi con dei piccoli sassolini in bocca per migliorare la dizione.

Ed è proprio questa attenzione al dettaglio singolo a fare la differenza e a far fiorire il talento. Certo, una naturale predisposizione è necessaria, ma faremmo un grande errore se pensassimo che le grandi performance derivano solamente dalla fortuna di essere nati, come si dice, già “imparati”.

Naturalmente è richiesto un grande sforzo per un lunghissimo periodo e quindi, in tutto questo, dobbiamo essere anche sufficientemente bravi ad alternare momenti di lavoro intenso a momenti di riposo, per evitare che la stanchezza eccessiva prenda il sopravvento e ci faccia perdere la motivazione.

La questione della pratica deliberata va quindi di pari passo con il discorso del talento, delle passioni e delle potenzialità naturali in ciascuno di noi tutti argomenti che si possono leggere e approfondire sul sito La Voce del Daimon che trovi linkato qui.

Buona lettura.